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Fotografia del sito dell'Associazione Software Libero a fine 2005

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No ai brevetti software in Europa


Google

Come il decreto Urbani, pensato per favorire l'industria cinematografica, danneggia il software libero

ovvero

Un pianto greco che sa di antico (risposta ai discografici/filmografici)

Gli editori di musica e film continuano a lamentarsi del fenomeno di scambio di file via Internet. Le loro proteste in seguito al tentativo del Parlamento di riequilibrare una legge unanimemente definita non ottimale si basano sul falso assunto che se si scambiano file su Internet gli autori vengono danneggiati.

Gli autori che utilizzano Internet per creare e sviluppare software ed opere libere ritengono invece che lo scambio di file sia essenziale per diffondere e distribuire il loro lavoro favorendo in questo processo la crescita di un patrimonio comune di conoscenze a beneficio dell'intera collettività.

Al contempo le imprese che operano con software libero si trovano periodicamente ad affrontare normative legali create con l'implicita assunzione che una copia sia illegale, normative che creano ostacoli del tutto artificiali alla loro attività.

L'irrigidirsi delle posizioni protezionistiche di questi gruppi industriali cozza violentemente con il progresso tecnologico. Molte distribuzioni di software libero utilizzano metodi automatici per lo scaricamento, l'aggiornamento e l'installazione di programmi la cui distribuzione è perfettamente legale e la cui copia è permessa a chiunque. Tuttavia la lettera di leggi come la legge Urbani prevede che ognuno dei protocolli usati per questi automatismi sia adeguato per visualizzare un avviso che dica che scaricare quel programma è legale. Questo significa che la quasi totalità delle attuali distribuzioni di software libero sono fuorilegge, e che richiederebbero ingenti investimenti per adeguarsi. Significa anche che molte distribuzioni ospitate all'estero potrebbero trovare più semplice impedire l'accesso dall'Italia, per non incorrere in violazioni. Non è da escludere inoltre che il decreto sia in violazione delle norme europee sulla libera circolazione delle merci.

La protesta delle comunità della rete è pertanto sacrosanta e dovrebbe essere presa in considerazione dalle varie FIMI, Univideo e compagnia per un serio esame di coscienza sui modelli commerciali delle proprie associate e sulla qualità dei loro prodotti piuttosto che inveire contro i propri clienti.

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